I vizi degli atti fiscali che possono essere fatti valere in sede di ricorso ovvero in sede di esercizio di autotutela, sono molteplici, in conseguenza dell’ampiezza delle fasi preparatorie e della probabile assenza, a monte dell’avviso di accertamento, di precedenti atti impugnabili. Per “vizio” dell’atto, si vuole esprimere l’infondatezza della pretesa dell’ente impositore. La L. n. 15 del 2005, impiantata nel testo della L.241/90 muta sensibilmente il quadro degli atti amministrativi, e quindi anche degli atti tributari, presentando un volto nuovo, ai vari vizi degli atti tributari. A seconda dei vizi, l’atto impositivo potrà considerarsi: inesistente, annullabile, nullo. Un atto tributario è inesistente quando la difformità dal modello legale, nella natura delle cose o per legge, è talmente rilevante da impedire che all’atto possa riconoscersi natura provvedimentale, come ad esempio, un avviso di accertamento, se emesso senza l’indicazione dell’ufficio adottante, è inesistente, come lo è, un avviso intestato ad un soggetto estinto. L’atto inesistente non produce alcun effetto giuridico e, in ogni stato e grado del processo, il giudice è tenuto a dichiarare che l’atto è inesistente. E’invece annullabile, diversamente da quello nullo, un atto che è produttivo in pieno di effetti sino a che non viene rimosso dal giudice o dall’Amministrazione in sede di autotutela, e nonostante sia viziato, se non impugnato, ha attitudine a divenire definitivo. Essendo un istituto nuovo per l’ordinamento tributario, l’annullabilità, in quanto principio generale applicabile indistintamente a tutti gli atti amministrativi, vale anche nei confronti dei provvedimenti impositivi. Danno luogo ad annullabilità dell’atto, l’incompetenza territoriale dell’ufficio tributario, l’eccesso di potere, quando l’atto viene adottato per perseguire un interesse diverso dallo schema tipico suo proprio, ed infine la violazione di legge. Sono però irrilevanti i vizi dell’atto annullabile se risulta che il contenuto dispositivo dell’atto, vizi o non vizi, non sarebbe mutato. Pertanto spetta al contribuente, per ottenere la pronuncia dell’annullamento, rappresentare e provare che dal rispetto delle norme violate sarebbe scaturito un diverso contenuto provvedimentale. Diversamente, è considerato nullo “il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli alti casi espressamente previsti dalla legge”. La nullità dei provvedimenti tributari, equivale ad annullabilità, ovvero l’atto fiscalmente nullo produce effetti come se fosse valido, tanto che costituisce titolo per la riscossione ed è suscettibile di divenire definitivo, rendendo irrilevanti gli eventuali vizi di nullità, se l’interessato non ricorre al giudice tributario o non ne chiede l’annullamento. Una prima tipologia di vizi riguarda i presupposti per l’esercizio del potere, in quanto, in primo luogo, l’atto deve essere emesso nel termine di decadenza previsto dalla legge, ai sensi dell’art. 43 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 57 del D.P.R. n. 633/1972, il quale dispone che l’avviso di accertamento relativo alle imposte sui redditi e all’Iva deve essere notificato entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, salvo il caso di omessa dichiarazione, laddove il termine coincide con il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. In secondo luogo, devono essere rispettate le condizioni previste dalla legge perché l’atto possa essere emanato, vale a dire il termine dilatorio, funzionale alla presentazione di motivazioni, la richiesta di chiarimenti o le notificazioni degli inviti a comparire, e devono essere decorsi i termini per la risposta del contribuente ovvero nelle fattispecie in cui il legislatore ha regolato l’istituto del contraddittorio preventivo prevedendone l’obbligatorietà. Ci si riferisce, in particolare, alle fattispecie di accertamento previste dall’articolo 37 bis e dall’articolo 38 del DPR 600/73 che regolano, rispettivamente, l’accertamento legato ad ipotesi di violazione di disposizioni antielusive e l’accertamento sintetico del reddito delle persone fisiche, così come agli accertamenti che si basano su indagini bancarie e finanziarie o sugli studi di settore, ove è previsto che, prima della notifica dell’avviso di accertamento, “l’ufficio invita il contribuente a comparire”. Il principio di portata generale relativo all’obbligatorietà suddetta lo troviamo nello Statuto dei diritti del contribuente (L.212 del 20.7.2000) il cui articolo 12, al 7° comma, prevede che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori”, mentre l’ultimo capoverso della norma sopra citata prevede infatti che ”l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”. La mancanza dei presupposti indicati deve essere ritenuta motivo di illegittimità dell’atto, in quanto ciascuna di esse determina un’alterazione sostanziale del procedimento e la lesione di interessi, anch’essi sostanziali, del contribuente. Portano altresì alla nullità, tutti i vizi della struttura formale dell’atto, cioè di tutte quelle indicazioni che le singole leggi d’imposta impongono alla forma dell’atto, quali quelle statuite all’art. 42 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, laddove al comma terzo, stabilisce che l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione del direttore dell’ufficio, alcuni elementi essenziali per comprendere l’oggetto dell’accertamento, l’ambito di intervento dell’ufficio e la sua giustificazione, la motivazione, la notificazione. Tra i vizi della forma dell’atto assume notevole rilevanza quello per difetto di motivazione, considerato una nullità relativa. La motivazione è elemento essenziale dell’atto di accertamento nella misura in cui chiarisce i presupposti di fatto, le ragioni giuridiche, il percorso istruttorio che lo sorreggono. La sua mancanza, considerata come sintomo di una più grave carenza del momento decisionale dell’autorità procedente, può quindi essere sanata solo dalla omessa deduzione del vizio in ricorso, non attraverso attività sostitutiva del giudice o mediante tardivi interventi sananti della stessa amministrazione. E’ nullo, anche il provvedimento impositivo privo di motivazione nel caso in cui l’atto sarebbe rimasto immutato anche in presenza della stessa. Questo perché, in primo luogo, il difetto di motivazione produce la nullità, e non l’annullabilità, del provvedimento impositivo, in secondo luogo, i vizi oggetto della prova di resistenza, tipici degli atti annullabili, riguardano le norme sul procedimento o i requisiti formali dell’atto e, la motivazione non è un elemento formale ma, è un elemento essenziale ed intrinseco di ogni provvedimento impositivo, come espressamente sancito agli articoli 1 e 7 della L.212/2000(Statuto dei diritti del contribuente). Sono invece considerati “vizi propri” dell’avviso di accertamento, tutti quei motivi di reclamo che contestano le modalità di indagine e l’effettuazione dei controlli, insomma tutti i vizi della fase istruttoria. La commissione tributaria ha la possibilità di valutare se le prescrizioni di legge siano state rispettate nel corso degli atti preparatori dell’accertamento, e se soprattutto siano stati rispettati quei diritti di garanzia che costituiscono il limite posto al potere unilaterale dell’ente pubblico competente ai controlli. Quando nel procedimento di accertamento le irregolarità commesse privano l’atto finale di un presupposto essenziale, si verifica la carenza di un presupposto di legge che invalida direttamente l’atto impugnato. Si pensi, ad esempio, alla violazione nella fase istruttoria del diritto all’inviolabilità del domicilio ovvero alla violazione delle garanzie contenute per esempio nell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale si intitola appunto, “diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali”. Altra tipologia di vizi che portano alla nullità dell’atto sono i cd. vizi di merito, cioè tutte le questioni con le quali il ricorso tende a dimostrare che il maggior imponibile accertato, o comunque la maggior pretesa vantata dall’ufficio, non sussiste, o sussiste solo in parte. Tali motivi, possono basarsi sia su questioni di diritto, sia su elementi di fatto, sia di carattere estimativo e valutativo, finalizzati a criticare le modalità di azione dell’ufficio, a condizione che sia affermata la loro ricaduta sulla quantificazione dell’imponibile o comunque della pretesa. Un’ultima precisazione va fatta con riguardo all’art.19, comma terzo del D.Lgs.546/92 che statuisce che ogni atto può essere impugnato solo per “vizi propri”, e non per vizi che riguardano atti precedenti autonomamente impugnabili, in applicazione del principio generale secondo cui una questione deducibile e non dedotta con lo strumento processuale proprio (ed entro il termine perentoriamente stabilito) è poi preclusa. Nell’impugnare un atto non possono dunque essere dedotti vizi di atti anteriori: possono essere fatti valere solo vizi “propri” dell’atto che si impugna. Il principio vale, in specie, per l’impugnazione degli atti della riscossione, che non possono essere impugnati sulla base di motivi che attengono all’atto di accertamento. In particolare, la cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi propri e non per vizi riguardanti il precedente atto impositivo (per es., l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, la liquidazione delle imposte da parte del Comune, e così via). Dunque, si possono impugnare solo i vizi formali, che attengono proprio alla richiesta in sé di pagamento da parte di Equitalia e non i vizi dell’atto originario da cui nasce il debito. Infatti, il contribuente che voglia impugnare i vizi del precedente accertamento lo può fare solo impugnando quel primo atto, altrimenti decade da tale possibilità e l’accertamento diventa definitivo. A tale regola fanno eccezione solo gli atti con cui il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva, per la prima volta, proprio attraverso la notifica della cartella esattoriale. Rientrano comunque tra i vizi “propri” del ruolo e della cartella gli errori di calcolo dell’imposta iscritta a ruolo come quelli che potrebbero derivare da un errore materiale o un errore di calcolo che l’Ufficio potrebbe aver compiuto in sede di iscrizione a ruolo delle somme, la mancata indicazione degli elementi essenziali di tali atti (codice fiscale del contribuente;la specie del ruolo; il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento o, in mancanza, la motivazione – anche sintetica – della pretesa). Da ultimo, per quanto concerne gli atti della riscossione particolare attenzione va prestata alla regolarità della notifica, dalla quale dipende il prodursi degli effetti complessi previsti per l’atto impoesattivo.
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Mag '15