Il fenomeno della crisi d’impresa sorge parallelamente alla nascita dell’impresa stessa, essendone una fase che appartiene fisiologicamente al suo ciclo vitale.
L’impresa in crisi non è in grado di far fronte alle proprie obbligazioni, essendo venute meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie per mantenere regolarmente e con mezzi “normali” agli impegni assunti. Una situazione di squilibrio che comprometterebbe l’intero assetto economico, finanziario e patrimoniale. La situazione di crisi è, dunque, quella fase della vita dell’impresa, che pone a rischio la prospettiva di continuazione dell’attività. Il risanamento però è comunque ancora possibile.
Con la profonda riforma della legge fallimentare il legislatore ha offerto alle imprese in crisi tre strumenti di riorganizzazione tra loro alternativi:
- Il (già noto) concordato preventivo ex art. 160 L.F.
- Il piano attestato di risanamento ex art.67, comma 3, lettera d), L.F.
- L’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art.182-bis L.F.
Il legislatore, investendo direttamente le fondamenta stesse dell’impresa e del diritto delle obbligazioni ha introdotto questi nuovi strumenti di composizione della crisi d’impresa, incentrati sulla valorizzazione degli accordi tra debitori e creditori e finalizzati al superamento della crisi e/o a scongiurare che alla crisi debba necessariamente conseguire la cessione dell’impresa.
Tra questi il Piano di risanamento (art.67 L.F) si configura come il primo passo verso una gestione e soluzione della crisi societaria rimessa all’autonomia dell’imprenditore.
Il piano di risanamento si inserisce nel quadro di “privatizzazione” della crisi voluta dal legislatore e si configura come il primo passo per una gestione e soluzione della crisi rimessa all’autonomia dell’imprenditore.
La scelta di optare per un piano di risanamento industriale, in genere, presuppone che lo stato di crisi aziendale possa essere risolto in un arco temporale limitato, solitamente tra i tre e i cinque anni, mediante l’alleggerimento del proprio indebitamento finanziario.
L’art. 67, comma 3, lettera d), L.F. dispone che non sono soggetti ad azione revocatoria “gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; ….”
Il piano di risanamento è, dunque, un atto stragiudiziale non soggetto al controllo del giudice né nella fase di preparazione, né nella fase di esecuzione; è un atto unilaterale dell’imprenditore, svincolato da obblighi pubblicitari, che deve essere idoneo a consentire il risanamento del passivo ed il riequilibrio finanziario dell’azienda in crisi.
Considerata la limitazione potenzialmente rilevante dei diritti dei creditori è necessario nella sua predisposizione focalizzare l’attenzione sui rischi potenziali e sulle procedure più opportune da mettere in pratica.
Per quanto concerne la predisposizione del piano, la legge non dice nulla sul suo contenuto o la sua forma, né esistono riferimenti normativi sulla sua durata.
Naturalmente, però, non si può prescindere dalla forma scritta e, sicuramente, il piano deve avere data certa se si vuole che gli atti eseguiti per la sua attuazione possano essere sottratti all’azione revocatoria.
Per il contenuto si ritiene, seguendo la migliore prassi, che lo stesso si componga di una parte quantitativa e di una parte descrittiva.
In questo viene in aiuto l’Assonime che in una circolare ha chiarito che il piano di risanamento deve comprendere sia il piano finanziario che quello industriale e che, ai fini della sua redazione, oltre a costruire un Business Plan professionale, bisogna illustrare la condizione specifica dell’impresa, descrivendo le cause della crisi, distinguendole tra interne ed esterne, lo stato di solvibilità e liquidità.
Per quanto concerne il suo orizzonte temporale, la durata del piano deve ritenersi strettamente legata al settore in cui opera l’impresa, alle condizioni di mercato ed alle caratteristiche peculiari della stessa.
L’esperienza e la prassi aziendale fanno ritenere che 3-5 anni sia un orizzonte sufficiente ad esprimere le reali potenzialità di risanamento e riequilibrio dell’azienda.
Si è detto che il piano di risanamento è un atto unilaterale dell’imprenditore e che per la sua adozione non è richiesto l’accordo con i creditori, né il loro consenso, tuttavia, per dare maggiore credibilità e garanzia sull’efficacia, è opportuno che esso sia condiviso con i principali creditori e che sia portato a conoscenza dei principali stakeholders dell’impresa per motivi di trasparenza.
Allo stesso modo e per le stesse finalità, la norma prevede, la possibilità che il piano venga pubblicato presso il registro imprese.
Un altro punto di attenzione del piano è, sicuramente, la scelta del professionista, proprio questo punto è stato oggetto di modifiche dal decreto sviluppo del 2012.
La norma richiede, infatti, che “ un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano….”.
Viene ancora richiesto che il professionista sia caratterizzato, oltre che dai suddetto requisiti, anche dall’indipendenza dal debitore, seppure sia questi a nominarlo.
Nella previsione di indipendenza dell’attestatore, di cui la norma da una precisa definizione, arieggia il disposto dell’art. 2399, c.c., per l’organo di controllo contabile nelle società per azioni, affinché questi non sia incorso in rapporti di natura patrimoniale, personali o professionali, che possano compromettere l’indipendenza di giudizio, sia nei confronti del debitore che nei confronti del ceto creditorio.
Altro punto focale risulta essere l’attestazione richiesta. La legge non prescrive un contenuto specifico dell’attestazione, ma solo che essa confermi la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. Tale necessaria verifica deve, comunque, essere un giudizio ispirato ai criteri della diligenza professionale qualificata, della ponderatezza e della non irragionevolezza delle scelte.
L’attestatore analizza il piano verificando che i dati previsionali siano stati redatti sulla base di principi contabili omogenei rispetto a quelli applicati per la redazione dei bilanci storici, valuta la coerenza delle ipotesi del piano con i criteri normalmente utilizzati nel settore di appartenenza dell’azienda.
L’esito della verifica può essere positivo e quindi vi è un giudizio di meritevolezza delle azioni previste dal piano, che dovrebbero consentire il ripristino di una condizione di normale esercizio, con il conseguente pagamento di tutti i creditori, salvo eventuali diversi accordi conclusi con loro su base individuale. Nel caso l’esito sia negativo, vi è una sospensione di giudizio, in quanto gli elementi del piano non sono tali da garantirne la fattibilità, ed il perseguimento degli scopi che la legge attribuisce al piano di risanamento.
Conseguentemente, l’esito dell’attestazione va riportato in una relazione di attestazione.
La dichiarazione di attestazione deve indicare la metodologia utilizzata, elencare le attività svolte dal professionista e contenere un’adeguata motivazione della conclusione raggiunta.
Una volta esplicate le attività sopra descritte, l’andamento del piano deve essere costantemente monitorato dall’imprenditore, e, nel caso in cui si rilevino scostamenti significativi e esso non possa essere più eseguito secondo gli indirizzi e i tempi prefissati , gli atti successivi al verificarsi dello scostamento non potranno godere della protezione dalla revocatoria a meno che il piano non sia rivisto e revisionato sottoponendolo ad una nuova attestazione.
Il piano di risanamento è, dunque, quello strumento che permette all’impresa in crisi di avere una sorta di ombrello protettivo, che assume efficacia nei confronti dei propri creditori, che non possono quindi impedire quelle iniziative, previste dal piano di risanamento, che hanno la finalità di consentire il tentativo di rilancio dell’impresa in difficoltà.
L’unico effetto limitante del piano di risanamento è per i creditori vista l’impossibilità di prendere misure protettive per i propri crediti, come è appunto l’azione revocatoria.