La Legge Fallimentare, contenuta nel Regio Decreto n.267/1942, ha subito decisive riforme, e recentemente il legislatore è intervenuto con il c.d. “decreto sviluppo” del 2012, modificando e introducendo nuovi strumenti a favore dell’imprenditore in crisi. Tra le alternative alla procedura fallimentare previste dalla normativa vigente trova collocazione il concordato preventivo giudiziale, che è una procedura concorsuale di gestione dell’insolvenza. E’ lo strumento che permette di superare lo stato di crisi in cui versa l’impresa permettendo una migliore soluzione per i creditori e concedendo una maggiore possibilità di ricollocare l’azienda sul mercato in condizioni di competitività.
Presupposto per l’accesso al concordato preventivo è lo sto di crisi e non più lo stato di insolvenza. Il concordato è una procedura concorsuale che permette, se la crisi è temporanea e reversibile, di superare tale situazione attraverso il risanamento economico e finanziario dell’impresa e, se definitiva e irreversibile, può essere attuato prima che sia dichiarato il fallimento ed evitarlo. Il concordato preventivo è disciplinato dagli artt. 160 e ss. della legge fallimentare ed è stato recentemente oggetto di modifiche normative ad opera del decreto legge n. 83/2012 (cd. Decreto Sviluppo), convertito in legge n. 134/2012, e dal decreto legge n. 179/2012 (cd. Decreto Sviluppo bis), convertito in legge n. 221/2012, nell’ottica di consentire all’imprenditore in crisi di accedere a nuove forme di tutela per sostenere la continuità aziendale e cercando quindi di evitare il fallimento dell’impresa.
Il concordato preventivo può essere proposto da qualsiasi imprenditore commerciale che versa in stato di crisi e costituisce un beneficio concesso allo stesso per far fronte alla crisi mediante una soluzione con i creditori. All’imprenditore che si trova in stato di crisi è concessa la possibilità di presentare un piano che può prevedere la ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, l’attribuzione delle attività dell’impresa ad un assuntore, la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei e trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
La domanda per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo è proposta con ricorso al Tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede principale e va accompagnata da una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, da uno stato analitico della attività con i relativi valori, nonché dall’elenco nominativo dei creditori e dei titolari di diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore. Bisogna altresì allegale un piano, introdotto dal D.l.83/2012, contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. In seguito alla recente modifica dell’art. 161 legge fall., il debitore può scegliere se depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente alla documentazione richiesta dalla norma oppure presentare unicamente la richiesta di concordato, il cd. concordato in bianco o con riserva, rinviando così, ad un momento successivo il deposito del piano e della documentazione, deposito che, deve comunque avvenire entro un termine fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni, prorogabile di non oltre sessanta giorni in presenza di giustificati motivi. L’intenzione del legislatore è stata quella di concedere più tempo al debitore per redigere il piano contenente gli interventi che l’imprenditore intende intraprendere per adempiere la proposta di concordato, consentendo, comunque, nel frattempo di beneficiare degli effetti prodotti dall’avvio della procedura concordataria, in particolare:
- inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte 90 giorni prima della pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso con riserva;
- prededucibilità dei crediti sorti dopo il deposito del ricorso;
- divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore da parte dei creditori anteriori alla data di pubblicazione del ricorso;
- possibilità di richiedere al tribunale lo scioglimento o la sospensione dei contratti in corso di esecuzione.
Ma la finalità del legislatore di consentire gli effetti protettivi, in particolare il blocco dell’esecuzione, prima della presentazione della proposta, del piano di concordato e della documentazione relativa, aumentando in tal maniera i tempi a disposizione del debitore per elaborare tutto ciò e riorganizzarsi, ha sortito come effetto un iniziale abuso dell’istituto in commento. Abusi riconducibili, in particolare, a condotte pregiudizievoli delle regioni creditorie da parte del debitore, grazie alle garanzie concesse sul patrimonio di quest’ultimo, proprie dell’istituto in commento, quali frode, occultamento dell’attivo, omissione nell’evidenziare taluni crediti, altro.
Per correggere tale pratica, il Decreto del Fare ha introdotto alcuni correttivi alla disciplina, in particolare dei maggiori oneri informativi, a beneficio di creditori e tribunale, a carico dell’imprenditore che presenta l’istanza di concordato con riserva. Più specificatamente:
- deposito dell’elenco dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti;
- anticipazione, già all’atto del deposito della domanda in bianco, della nomina del commissario giudiziale, senza che il tribunale aspetti la completezza dei documenti a sua disposizione. Forse per tale nuova disposizione sono diminuite le istanze di concordato preventivo in bianco;
- motivazione da parte del tribunale sul decreto che fissa il termine per la presentazione della documentazione mancante. In tal maniera, i creditori potranno valutare se sono convincenti o meno le motivazioni addotte circa i termini per la presentazione dei documenti ai sensi dell’art. 161, cc. 2 e 3 l.f., anche se, d’altra parte, il provvedimento del tribunale non è impugnabile;
- possibilità, da parte del tribunale, di interrompere la procedura di concordato con riserva, in presenza di atti del debitore lesivi delle ragioni creditorie o palesemente in contrasto con quanto necessariamente dovrebbe essere svolto dall’imprenditore per elaborare e produrre la proposta concordataria ed il piano.
Entro gli stessi termini il debitore può, in alternativa alla procedura di concordato preventivo, richiedere la conversione del concordato in una procedura di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti.
La proposta e gli allegati devono inoltre essere accompagnati dalla relazione di un professionista scelto dal debitore ed iscritto nel registro dei revisori contabili con determinati requisiti di professionalità, al fine di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. La norma richiede, infatti, che “ un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano….”. Viene ancora richiesto che il professionista sia caratterizzato, oltre che dai suddetto requisiti, anche dall’indipendenza dal debitore, seppure sia questi a nominarlo.
Il tribunale, dopo aver ricevuto la domanda, svolge un controllo preliminare volto ad accertare se ricorrono i presupposti per l’ammissione alla procedura, nonché la correttezza dei criteri di formazione e del trattamento della classi, qualora si sia previsto la suddivisione in classi dei creditori. Se non sussistono le condizioni per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, il Tribunale, sentito prima il debitore in camera di consiglio, dichiara inammissibile la proposta di concordato con decreto non soggetto a reclamo e, su istanza di parte o del pubblico ministero, può dichiarare il fallimento del debitore, purché al debitore sia stata previamente contestata l’insolvenza e purché venga accertata la sussistenza dei presupposti per la dichiarazione di fallimento. Se invece ritiene ammissibile la proposta, il Tribunale con decreto non soggetto a reclamo ma ad iscrizione nel R.I., dichiara aperta la procedura di concordato preventivo, e con lo stesso provvedimento designa gli organi della procedure, il giudice delegato, a cui è devoluta la direzione della procedura, e un commissario giudiziale, che svolge le funzioni di vigilanza e di controllo.
L’ammissione alla procedura di concordato produce effetti sia per il debitore sia i creditori. Il primo conserva l’amministrazione dei sui beni e continua nell’esercizio della sua impresa, pur sempre sotto la vigilanza del commissario giudiziale, mentre, per gli atti di straordinaria amministrazione, dovrà ottenere l’autorizzazione scritta da parte del giudice delegato. Nei confronti dei creditori e dei terzi gli effetti, che iniziano a decorrere dal momento del deposito della domanda presso il R.I., sono: il divieto, a pena di nullità, di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali contro il debitore e per le eventuali azioni già intraprese si dispone l’improcedibilità, mentre si prevede l’improponibilità per eventuali azioni da esperire; i creditori chirografari possono acquistare diritti di prelazione solo previa autorizzazione del giudice delegato; l’inefficacia delle le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni antecedenti la data della pubblicazione del ricorso.
Intervenuta l’ammissione alla procedura, il commissario giudiziale deve provvedere a verificare l’elenco dei creditori e ad inviare loro, tramite A/R o telegramma, un avviso contenente la data dell’adunanza e le proposte del debitore. Inoltre, deve redigere l’inventario del patrimonio del debitore ed una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore e sulla proposta di concordato. Durante l’adunanza, presieduta dal giudice delegato, viene illustrata la relazione del commissario giudiziale, e i creditori possono esporre ragioni e sollevare contestazioni nonché chiedere chiarimenti. Ai creditori esclusi, invece, è riconosciuta la facoltà di proporre opposizione in sede di omologazione, solo però nel momento in cui la loro partecipazione avrebbe influenzato notevolmente la formazione delle relative maggioranze richieste della legge. Per l’approvazione del concordato, è necessario il raggiungimento della maggioranza per capitale o il voto favorevole dei creditori rappresentanti la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Se il piano concordatario prevede la suddivisione dei creditori in classi sarà altresì necessario il voto favorevole del maggior numero di classi. Tra le novità della recente riforma, il legislatore ha introdotto il principio del consenso presunto, cioè prevede che, nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, i creditori possono far pervenire il proprio dissenso per telegramma, fax, posta elettronica, lettera e, in mancanza di dissenso, i creditori devono ritenersi consenzienti e come tali venire considerati ai fini della maggioranza dei crediti. In caso di mancata approvazione del concordato il giudice ne dà comunicazione al Tribunale e questo procede ad emettere il decreto di improcedibilità della domanda concordataria. Solo previa istanza di un creditore o del pubblico ministero e dopo accertamento del presupposto oggettivo di fallibilità e nel rispetto del diritto di difesa del debitore, potrà essere dichiarato il fallimento del debitore.
Se invece gli esiti sono positivi, il tribunale omologa con decreto il concordato producendo effetti sia per il debitore, che riacquista la piena disponibilità del proprio patrimonio, potendo compiere gli atti di straordinaria amministrazione senza la necessità dell’autorizzazione da parte del Tribunale, sia per i creditori subiscono la perdita della quota del credito eccedente rispetto alla percentuale stabilita nel concordato, cd. effetto di esdebitazione del debitore. Tale efficacia si estende, salvo patto contrario, anche ai soci illimitatamente responsabili.
Il concordato viene eseguito sotto la sorveglianza del commissario giudiziale, e nel caso si verifichino fatti dai quali possa derivare un pregiudizio ai creditori, il commissario deve darne comunicazione al giudice. Ognuno dei creditori può chiedere la risoluzione del concordato preventivo per inadempimento, purché si tratti di inadempimento di non scarsa importanza, però il ricorso deve essere proposto entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato stesso. Il concordato può anche essere annullato qualora sia stato esagerato dolosamente il passivo, nonché sia stata dissimulata o sottratta una consistente parte dell’attivo. Sarà il commissario giudiziale o uno dei creditori a proporre l’azione di annullamento, entro il termine di sei mesi dalla scoperta del dolo e comunque non oltre i due anni dalla scadenza dell’ultimo adempimento previsto nel concordato, da intendersi come termine di soddisfazione dei creditori.
Il concordato in continuità
Il debitore, nel proporre ai propri creditori un piano di soddisfacimento dei loro crediti, può scegliere oltre al piano concordatario, anche il “concordato con continuità aziendale”, introdotto con il D.l.83/2012 art.186-bis. Grazie al legislatore del 2012 che, accortosi della forte necessità di fornire un supporto agli imprenditori e alle società in crisi, ha disciplinato il caso in cui il piano preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa. Tale procedura non persegue i fini liquidatori dell’attività aziendale, ma si propone di soddisfare i creditori, in tutto o in parte, mediante la conservazione dell’azienda, utilizzando le risorse finanziarie generate dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. Vede cioè come scopo il soddisfacimento dei creditori attraverso il risanamento dell’impresa a cui è stata concessa la “continuità” e ciò sia nell’ambito nell’impresa stessa, sia che l’impresa sia stata oggetto di affitto o cessione a società terze anche di nuova costituzione. Nel primo caso l’azienda tornerà, entro un arco temporale ragionevole che i creditori avranno accettato, in condizioni di equilibrio finanziario tali da permetterle di eseguire i pagamenti con regolarità. Nel secondo caso, invece, i creditori saranno soddisfatti con il ricavato del corrispettivo della cessione dell’azienda che sarà stata trasferita a terzi. Si può pertanto concludere che si ha concordato con continuità aziendale nel caso in cui il piano concordatario preveda la prosecuzione dell’impresa in capo allo stesso debitore, nonché la cessione a terzi dell’azienda in esercizio o il conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, fatta salva la possibilità di liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa. La previsione della continuità aziendale pone però un problema riguardante l’esigenza di assicurare un’adeguata informativa sulla fattibilità di un piano, e tal proposito, secondo l’art. 161, secondo comma, lett. e),il piano “deve contenere anche un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”. Si dovrà pertanto tenere in considerazione i flussi di cassa generati, che consentiranno la soddisfazione dei creditori nei termini e condizioni proposti nel piano.