Gli accordi di ristrutturazione costituiscono l’ulteriore esempio della volontà del legislatore di individuare nel fallimento l’extrema ratio, incentivando ogni possibile soluzione alternativa fondata essenzialmente sulla libertà negoziale delle parti pur con il necessario intervento dell’Autorità giudiziaria.
Detti accordi possono prevedere schemi negoziali diversificati e possono avere anche finalità liquidatoria.
Gli accordi di ristrutturazione non hanno la funzione esclusiva o principale di perseguire il risanamento dell’impresa (benché questa sia la prospettiva nella quale vengono utilizzati nella maggioranza dei casi) ma anche quella di riprogrammare le passività rappresentanti una percentuale qualificata dell’esposizione debitoria dell’impresa attraverso una rimodulazione avente ad oggetto la loro entità o le loro scadenze, assicurando il pagamento regolare dei creditori estranei all’accordo.
Presupposto per l’applicazione dell’art. 182 bis l.f., è l’imprenditore in stato di crisi, pertanto possono chiedere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione solo gli imprenditori assoggettabili alle procedure concorsuali di cui all’art. 1 l.f., e inoltre l’accordo non può, anche a rigor di logica, essere proposto da un imprenditore in condizioni di solidità economica.
Negli accordi di ristrutturazione non è richiesto il rispetto del principio della par condicio creditorum, è sufficiente raggiungere l’accordo con i creditori che rappresentino il sessanta per cento dei crediti.
La percentuale necessaria al perfezionamento dell’accordo deve essere calcolata con riferimento al capitale, non al numero dei creditori, prescindendo dalla natura chirografaria o privilegiata del credito. Per i creditori estranei l’accordo ex art. 182 bis hanno diritto di esigere il pagamento e possono azionare in qualsiasi momento le azioni loro riconosciute dal diritto delle obbligazioni e dei contratti: azione di risarcimento, del danno per inadempimento, di risoluzione, ecc. Merita però essere sottolineato che, per converso, creditori estranei non potranno beneficiare della esenzione da revocatoria della quale beneficiano i creditori aderenti all’accordo.
Il legislatore ha omesso di specificare quale deve essere il contenuto degli accordi di ristrutturazione, confermando l’ampia legittimazione dell’autonomia privata, potendo trovare collocazione: dilazioni di pagamento, remissioni parziali del debito, variazioni del tasso di interesse, postergazione di crediti, conversione di crediti in capitale, contrattazione di interventi sul piano industriale e finanziario come mutamenti nel management, manovre sul personale, dismissioni parziali di partecipazioni, cessioni di rami d’azienda ed erogazione di nuova finanza.
L’attuabilità dell’accordo si deve evincere da una “relazione redatta da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, 3° c., lett. d), con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”.
Il professionista deve attestare che una volta eseguito l’accordo, il debitore abbia i mezzi sufficienti per soddisfare i creditori che non hanno partecipato al piano. Inoltre deve effettuare una stima circa le probabilità che il piano possa essere attuato con successo; deve trattarsi di un giudizio positivo, attraverso il quale l’esperto dovrà prendere posizione in favore dell’attuabilità dell’accordo, tenendo conto della prospettiva adottata, che può essere quella della continuità aziendale oppure della liquidazione.
Il processo di formazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti si articola in due momenti:
– la fase propriamente stragiudiziale di predisposizione del piano ove l’imprenditore in crisi negozia con i creditori la propria situazione debitoria ai fini della formazione del consenso per l’approvazione dell’accordo.
– la fase giudiziale in cui l’accordo necessita dell’omologazione del Tribunale per essere produttivo di interessi. Tale fase è di competenza del Tribunale.
Nel caso di impresa individuale, compete al titolare della medesima la predisposizione, nonché la sottoscrizione dell’accordo; laddove debitore, invece, sia una società si ritiene che la decisione di ricorrere allo strumento dell’accordo di ristrutturazione debba essere assunta dall’organo che detiene la rappresentanza sociale, ovvero dall’organo amministrativo.
La formazione dell’accordo con i creditori avviene in via stragiudiziale. L’accordo viene raggiunto attraverso un processo di negoziazione con i creditori che viene gestito in autonomia dall’imprenditore fuori da qualsiasi tipo di procedura giudiziale. Nelle trattative che precedono la stipula dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, il debitore può coinvolgere anche l’Amministrazione finanziaria, con la quale può avere interesse a definire una transazione fiscale ex art. 182 ter l.f. In questo caso, la negoziazione avviene attraverso una fase rituale:il debitore formula una proposta di pagamento parziale del proprio debito tributario che viene depositata presso il competente concessionario del servizio nazionale della riscossione e all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore. L’assenso alla proposta vale come sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione.
Il legislatore nulla dispone in ordine alle formalità da osservarsi in sede di stipula dell’accordo di ristrutturazione, ciononostante si ritiene come gli accordi in oggetto debbano essere redatti per iscritto essendo qui la forma funzionale al deposito per l’omologazione e alla pubblicazione nel registro delle imprese.
L’art. 182 bis l.f. non pone in capo al debitore alcun obbligo di informazione specifica nei confronti dei creditori non aderenti. Tale compito è assolto dalla iscrizione nel registro delle imprese.
Il legislatore nulla dispone neppure in ordine alle modalità da osservarsi da parte del debitore onde informare i creditori con i quali intende stipulare l’accordo, riconoscendo ampia discrezionalità. Sarà consigliabile che il debitore, nella fase delle trattative, consegni ai creditori la relazione dell’esperto, anche al fine di garantire ai creditori l’acquisizione di una informativa completa e indispensabile per una compiuta valutazione dell’accordo.
L’accordo di ristrutturazione deve recare le sottoscrizioni autenticate sia del debitore e sia dei creditori aderenti.
L’art. 182 bis l.f. al secondo comma prevede che l’accordo di ristrutturazione dei debiti debba essere pubblicato nel registro delle imprese e che esso acquisti efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Dalla stessa data decorrono i termini per la proposizione delle eventuali opposizioni. Ciò consente di affermare che il deposito dell’accordo in tribunale ai fini della richiesta della omologazione debba necessariamente precedere il deposito dell’accordo nel registro delle imprese.
Con il deposito dell’accordo ha inizio la seconda fase di carattere giudiziale. Quanto al procedimento, l’art. 182 bis l.f. prevede che il debitore può domandare l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, depositando la documentazione di cui all’art. 161 l.f.. Trattasi della proposizione di un ricorso da presentare al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale, non rilevando l’eventuale mutamento di sede intervenuto nell’anno antecedente alla presentazione stessa. Il ricorso deve contenere:
a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;
b) uno stato analitico ed estimativo delle attività;
c) l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;
d) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
e) documentazione attestante il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
Non è prescritto alcun termine per il deposito. E’ importante sottolineare che l’art. 182 bis al terzo comma dispone che “dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore. Si applica l’art. 168 secondo comma”.
Il blocco temporaneo per 60 giorni delle azioni esecutive e/o cautelari sul patrimonio del debitore, ai sensi del secondo comma dell’art. 182 bis della L.F., opera automaticamente una volta che l’accordo è stato omologato, anche se la sua efficacia retroagisce al momento del deposito al registro delle imprese.
L’effetto inibitorio, relativamente alle azioni esecutive e cautelari, può invece operare anche prima dell’accordo con i creditori, previa apposita istanza da parte del debitore.
L’istanza di sospensione deve essere pubblicata nel registro delle imprese. Dal giorno della pubblicazione essa produce l’effetto del blocco delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione non concordati. Sarà il Tribunale, una volta ricevuta la richiesta dell’imprenditore, a fissare l’udienza entro il termine di 30 giorni, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione depositata. All’esito dell’udienza, alla quale sono chiamati a partecipare tutti creditori, il Tribunale, qualora abbia positivamente riscontrato la sussistenza dei requisiti di legge per pervenire all’accordo di ristrutturazione omologabile, disporrà il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari esecutive, assegnando al ricorrente termine per il deposito, entro 60 giorni, dell’accordo e della relazione. Il relativo decreto deve essere pubblicato nel Registro delle imprese ed è reclamabile dinnanzi alla Corte di Appello nel termine di 15 giorni dalla sua pubblicazione.
L’art. 182 bis al quarto comma dispone che “entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato”.
Legittimati ad opponendum sono non solo i creditori non aderenti all’accordo ovvero i terzi interessati, ma anche i creditori aderenti.
Il Tribunale in camera di consiglio deciderà sulle stesse e procederà all’accoglimento o al rigetto della domanda di omologazione; in questo secondo caso potrà trasmettere gli atti al Pubblico Ministero si sensi dell’art. 7 l.f., qualora ravvisi una situazione di insolvenza. Una volta posto in esecuzione l’accordo di ristrutturazione, si pone la questione del monitoraggio, ossia il suo controllo nella fase esecutiva.
Ciò anche in considerazione delle esenzioni da revocatoria delle quali godono tutti i pagamenti, gli atti e le garanzie poste in essere in esecuzione dell’accordo. Qualora dopo l’omologazione il debitore sia inadempiente, i creditori che hanno aderito all’accordo potranno chiederne la risoluzione, con la conseguenza che ad esito della pronuncia risolutoria il credito rivivrà nella sua consistenza originaria. In caso di successivo fallimento, l’accordo continuerà ad avere efficacia fra le parti e dunque i creditori potranno insinuarsi al passivo nei limiti del loro credito contenuto nell’accordo.
Gli effetti principali dell’accordo di ristrutturazione dei debiti “omologato” sono quelli di sottrarre dal rischio di revocatoria, gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo omologato, ovvero tutti gli atti effettuati a seguito della pubblicazione nel Registro delle Imprese degli accordi, sempre che, ovviamente, la pronunzia del decreto di omologazione sopraggiunga.
L’effetto protettivo dell’azione revocatoria fallimentare, può ottenersi esclusivamente per quegli atti che corrispondono esattamente al contenuto del contratto, siano cioè collegati funzionalmente alle risultanze del piano o del programma predisposto ed eseguiti in assoluta relazione e corrispondenza con questo.
In conclusione, l’accordo di ristrutturazione dei debiti può consentire il mantenimento in vita di un’azienda in difficoltà con i propri creditori, ed anche di porre le condizioni per un rilancio dell’attività, anche grazie a nuovi finanziamenti, che godono della prededucibilità rispetto ai debiti preesistenti.
La vera novità introdotta dalla manovra correttiva atta ad incentivare l’utilizzo degli strumenti di risanamento, è contenuta nel nuovo art. 182 quater L.F. .
La nuova disposizione prevede, infatti, che, in caso di insuccesso dell’accordo di ristrutturazione di debiti, nella procedura fallimentare che segue, sono prededucubili ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 111 l.f. :
- i crediti derivanti da finanziamenti effettuati da banche e intermediari finanziari, in esecuzione del
concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato; - i crediti derivanti da finanziamenti effettuati dagli stessi soggetti in funzione della presentazione della domanda d ammissione al concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, qualora gli stessi siano previsti dal piano di cui all’art. 160 l.f. o dall’accordo di cui all’art.182 bis;
- i finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell’80% del loro ammontare, in deroga alla
disciplina sui finanziamenti dei soci di cui agli artt.2467 e 2497 quinquies del codice civile che ne impongono la “postergazione”; - i compensi spettanti al professionista incaricato di predisporre la relazione che accompagna il concordato preventivo o l’accordo di ristrutturazione.
Con riferimento ai finanziamenti concessi da banche e intermediari, la ratio della norma è quella di favorire l’erogazione di “nuova finanza”e la concessione di “finanza ponte”, ovvero l’anticipazione di nuova finanza di cui l’impresa in crisi necessita nella fase che precede il perfezionamento del piano ( quindi nelle more del deposito del ricorso per l’accesso al concordato, ovvero prima della richiesta di omologa dell’accordo di ristrutturazione). Le suddette erogazioni, infatti, sono molto spesso condizioni imprescindibili per garantire la continuità aziendale e , quindi, per soddisfare il fabbisogno di circolante.
Affinchè le suddette regole possano operare, devono ricorrere però le seguenti condizioni:
a) il finanziamento cui corrisponde il credito deve essere erogato da soggetti specializzati; b) il credito deve essere sorto in esecuzione di un accordo di ristrutturazione che sia stato omologato; c) se il credito viene concesso nella fase della richiesta di omologa dell’accordo di ristrutturazione, la prededuzione è concessa a condizione che l’accordo di ristrutturazione sia omologato.
Con riferimento ai finanziamenti effettuati dai soci nei limiti anzidetti, l’estensione della prededuzione risponde essenzialmente alla necessità di favorire il reperimento di tutte le risorse necessarie per conseguire il risanamento dell’impresa in crisi. Talvolta poi il ricorso al finanziamento da parte dei soci può costituire l’unica possibilità alternativa al finanziamento bancario. Il beneficio della prededuzione è, infine, riconosciuto al compenso del professionista, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. f) L.F., incaricato di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di concordato preventivo ovvero l’attuabilità dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Anche in tal caso la norma richiede che la prededuzione sia espressamente prevista nel provvedimento con cui il tribunale omologa l’accordo.